Il territorio
Villamar è un paese ricco di chiese. Ne conta infatti quattro all’interno dell’abitato e due campestri. Ancora oggi esistono inoltre i ruderi delle chiese campestri di Santa Maria Maddalena e Sant’Antioco.
San Giovanni Battista
La chiesa di San Giovanni Battista (crèsia de Santu Giuanni Batista in lingua sarda) è la parrocchiale di Villamar, situata nel quartiere Maiorchino, nel centro storico del paese. La sua rilevanza, dal punto di vista artistico, si deve soprattutto alla presenza al suo interno del Retablo della Madonna del Latte, una delle principali opere di Pietro Cavaro. Sebbene non siano pervenute notizie sulla chiesa romanica di San Giovanni di Mara Arbarei (antico nome di Villamar, documentato dal 1219), si rivelano le tracce di questa costruzione nel tratto murario, databile alla seconda metà del XIII secolo, inglobato nella facciata dell'attuale parrocchiale di Villamar. Questa è frutto della ricostruzione cinquecentesca, secondo i canoni stilistici dello stile gotico catalano e sul modello cagliaritano del San Giacomo in Villanova, e dei restauri e ampliamenti nei secoli successivi.
Retablo della Madonna del Latte
All’interno della chiesa parrocchiale si conservano numerose opere d’arte di grande valore storico e artistico. Il manufatto certamente più rilevante è il grandioso, splendido retablo posto sull’altare maggiore, realizzato nel 1518 dal pittore Pietro Cavaro, massimo esponente della famiglia di pittori detta “Scuola di Stampace”, dal nome del quartiere Cagliaritano nel quel la bottega aveva sede. Commissionato dai Signori di Mara Arbarei, l’antica Villamar, gli Aymerich, il cui stemma è presente nell’estremità inferiore dei polvaroli, ha tutte le particolarità che caratterizzano il retablo tardo-gotico di ascendenza iberica: la predella, con tabernaccolo centrale aggettante, sul quale si imposta la nicchia con il cinquecentesco simulacro ligneo della Vergine del Latte, attribuita allo scultore campano Giovanni da Nola; ai due lati della predella, nella quale sono raffigurati, da sinistra , l’Annunciazione, la nascita di Gesù, l’adorazione dei magi, Cristo risorto, l’ascensione di Gesù, Pentecoste e Morte di Maria, si dispongono i “portales”, con la raffigurazione dei Santi Pietro e Paolo a tutta figura, porte che consentivano l’accesso alla zona posteriore del vano presbiteriale. Sulla predella, ai lati della nicchia centrale incorniciata da 6 pannelli con angeli musicanti, abbiamo due scomparti con la raffigurazione del Santo Patrono, Giovanni Battista, a sinistra con l’Agnello, simboleggiante Cristo vittima immolata per la salvezza dell’umanità peccatrice e a destra Giovanni che battezza Gesù nel fiume Giordano. Al di sopra i Santi Michele arcangelo che sconfigge il demonio e Francesco che riceve le stigmate. Al basso, San Nicola di Bari, Sant’Onofrio, Sant’Anna e Maria Bambina, Sant’Orsola e le Vergini compagne, l’arcangelo Raffaele con Tobiolo, l’Eterno Padre tra i Santi vescovi Giorgio di Suelli e Lucefero di Cagliari, l’arcangelo Gabriele, i Santi Cosma e Damiano, Caterina d’Alessadria, Cristoforo e Antonio abate. Una epigrafe in minuscola gotica recita: ANNO SALUTIS MDXVIII DIE XXV MENSIS MAIUS PINGIT HOC RETABOLUM PETRI CAVARO PICTORUM MINIMUS STAMPACIS. Una ricca incorniciatura lignea tardo gotica, coperta con la foglia d’oro zecchino, impreziosisce ulteriormente il retablo. Il retablo costituisce la prima opera sarda del grande pittore stampacino il quale si riallaccia a dipinti già realizzati in Sardegna da altri autori; al retablo della Porziuncola (nella pinacoteca nazionale di Cagliari), del Maestro di Castelsardo, guarda per eseguire la nicchia contornata da angeli musicanti; dal Maestro di Sanluri (Retablo di San’Eligio nella Pinacoteca nazionale di Cagliari) riprende il parapetto a monocromi posto dietro il San Giovanni nello scomparto inferiore sinistro.
La chiesa di San Pietro
L'edificio romanico si trova al centro del borgo vecchio, poco distante dalla parrocchiale di San Giovanni Battista. La chiesa, in arenaria e vulcanite ha pianta a due navate, ciascuna conclusa da un'abside a S/E. Fu costruita in due fasi ravvicinate, su cui non esiste documentazione. Alla fabbrica romanica, collocabile nella seconda metà del XIII secolo, risale la navata S. Poco tempo dopo fu edificata la navata N, di ampiezza minore, dotata di un'abside meno profonda e di diametro inferiore. Il setto divisorio è costituito da tre ampie arcate su pilastri a sezione rettangolare. La facciata è conclusa da un campanile a vela di grandi dimensioni. L'edificio basa su un alto zoccolo, da cui partono larghe paraste d'angolo e le lesene che partiscono i muri in specchi. Lungo i terminali archetti ogivali tagliati a filo, che talvolta si aprono al colmo con un minuscolo lobo. I peducci allungati mostrano numerosi motivi ornamentali: a croce, a reticolo geometrico, a fiore, a foglie aguzze dalla cima ricurva, a fitta gradonatura, a sezione modanata, a listelli e gusci, a protomi umane. La chiesa è studiata da Dionigi Scano, che registra sulle capriate della navata maggiore lacerti di pitture policrome, e di Raffaello Delogu. Per quest'ultimo la navata N e il campanile a vela sono opera di maestranze diverse da quelle che edificarono l'altra, di cui cercarono di imitare i modi costruttivi. Il carattere "arabeggiante" della decorazione suggerisce l'attività di maestranze provenienti forse dalla Spagna
La Chiesa di Antoccia
Posta su un’altura, dietro la Parrocchiale, l’edificio è sede della confraternita del rosario ed è ad aula unica con due cappelle ai lati del presbiterio, più stretto della navata centrale. Tre archi a diaframma, due a tutto sesto e uno a sesto acuto con intradosso decorato a cassettoni, suddividono la navata centrale in quattro campate. La copertura è realizzata con travi lignee. La chiesa, risalente al XVI-XVII secolo, presenta numerosi rimaneggiamenti. La facciata ha il terminale piatto e un campaniletto a vela a due luci. Al centro si apre l’unico portone a due finestre.
INTERNO: Oltre alle caratteristiche statue a “cannuga”, di tradizione spagnola, con le sole estremità scolpite nel legno e vestite con abiti in tessuto prezioso (Addolorata e Madonna del Rosario, fine XVIII, inizi del XIX secolo) si conservano le sculture di San Giuseppe, di San Francesco di Paola, Sant’ Efisio, realizzate in legno intagliato e policromato, assegnabili a scultori sari attivi nel XVIII secolo. Opera di artigiani sardi è anche l’altare ligneo della cappella destra, con nicchia centrale contenente il simulacro della Vergine del Rosario, purtroppo pesantemente ridipinta, con profili angolari nei quali sono raffigurati, ad olio, due Santi Diaconi e la cimasa decorata con l’Eterno Padre. L’altare risale al XVIII secolo. Di antica tradizione è, infine, la scultura della Assunta entro teca di vetro, legata al culto greco della Dormitio Virginis, retaggio della dominazione bizantina in Sardegna.
La chiesa di San Giuseppe
Ubicata nella Via Umberto, è sede dell’omonima confraternita. Ha un’unica navata suddivisa in sei campate da archi trasversali a tutto sesto e coperture lignee. Risalente al XVII secolo presenta una facciata con campanile a vela a due luci e unico portale d’ingresso, sovrastato da una finestra rettangolare. Interno: Unici arredi della chiesa due piccole acquasantiere pensili in pietra, ascrivibili a scalpellini sardi attivi nel XVII secolo, una decorata con baccellature e l’altra con motivo floreale entro esagono. Il settecentesco altare maggiore, in pietra calcarea, è suddiviso in tre specchi da quattro colonne tortili in finto marmo (recentemente ridipinto) su dadi decorati a losanga. Sulla trabeazione centrale si riconosce lo stemma degli Aymerich, signori di Mara Arbarei. All’interno si trovano la statua della Sacra Famiglia, quella di San Giuseppe e la statua di Santa Rosalia.
La chiesa della Madonna d’Itria
L’edificio, risalente al XVII secolo, è suddiviso in tre navate da arcate su pilastri. La navata centrale è scandita da cinque archi a sesto acuto che sorreggono le coperture in travi lignee. La facciata è stata realizzata in epoca posteriore a quella di erezione della chiesa. All’interno, nel presbiterio, si conserva la scultura della Madonna col Bambino, in legno policromo, ascrivibile ai primi anni dell’ottocento. Il cocchio della Madonna d’Itria In un edificio annesso alla chiesa parrocchiale è conservato un cocchio in legno intagliato, policromato e dorato, realizzato dall’artigiano pistoiese Italo Corridori nel 1875. L’opera venne donata dalla famiglia Murgia ed è considerata una delle più grandi e originali tra quelle prodotte dalla scuola pistoiese. Il cocchio era conservato all’interno della chiesa parrocchiale nella 1^ cappella sulla destra, dedicata a San Priamo. Successivamente venne trasportato nei locali annessi alla parrocchiale dove si trova attualmente. Il portale dell’attuale sala del cocchio si trovava sulla facciata della chiesa dove attualmente vi è la porta “delle donne”.
La chiesa di Santa Maria
La chiesetta di Santa Maria è stata ricostruita nei primissimi anni ’80 e inaugurata l’8.09.1983. Da questa data sono ripresi i festeggiamenti in onore della Santa omonima. La chiesetta campestre, situata in una ricca zona di uliveti e mandorleti a nord-est di Villamar, era, fino a diversi decenni fa, teatro di vivi festeggiamenti in onore di Santa Maria.
Villamar: murales
L’arte muralistica nel ns. paese si è sviluppata verso la seconda metà degli anni ’70. I promotori di tale iniziativa sono stati i pittori locali Antioco Cotza, insieme ad un suo amico Cileno, Alan Joffré, esule politico, ospite in quel periodo del Sig. Antioco Cotza, e Antonio Sanna. L’aspetto di Villamar, in poco tempo, cambiò radicalmente: perse il suo aspetto grigio e anonimo e assunse colore e vivacità. La realizzazione dei murales era solo un aspetto del risveglio sociale e culturale che si stava verificando in paese. Fu nel 1976 che si ebbe il ricambio dell’Amministrazione Comunale con l’avvento di persone giovani, cariche di entusiasmo e di voglia di cambiare, che si attivarono maggiormente le sezioni dei locali partiti politici, che si costituirono associazioni culturali e fu in quegli anni che si svilupparono attività culturali quali mostre, dibattiti, concerti etc. Villamar era conosciuto come un paese vitale e pieno di positivi fermenti. I turisti di passaggio per Barumini e la Giara, attratti e incuriositi dai murales, si fermavano finalmente anche nel ns. paese, avendo così l’opportunità di conoscere altri ns. tesori quali la chiesa di San Pietro e il retablo del Cavaro. I murales realizzati sono principalmente di due generi diversi. Quelli con colori vivaci e forti sono solitamente di denuncia sociale e rappresentano particolari momenti e avvenimenti storici locali e mondiali. Mentre, il secondo genere rappresenta in particolare paesaggi, località, usi e costumi scomparsi del paese.